Bruce Springsteen

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BeatAurora
00sabato 29 aprile 2006 15:13
«We shall overcome»
una magia del Boss
di Gabriele Ferraris



Non voglio tediarvi con un’ennesima recensione del recensitissimo «We shall overcome»: con le «Seeger Sessions» (dal nume tutelare della musica popolare americana) Bruce Springsteen ha firmato un capolavoro destinato a durare, oltre a pagare un debito d’onore con le radici musicali proprie - e, ovviamente, di chiunque altro faccia musica negli States, e in buona parte dell’Occidente.

Non starò neppure a rilevare la significativa analogia della scelta springsteeniana con quella di Francesco De Gregori: anche perché «Il fischio del vapore» con Giovanna Marini solo in parte si può paragonare al lavoro del Boss. In realtà, il Principe ha voluto ripercorrere, scegliendo acconce canzoni, la storia politico-sociale d’Italia, mentre alla base dell’operazione di Springsteen mi sembra di intuire un’urgenza diversa, più diretta a esaltare un senso di «appartenenza» e di ritorno alle origini e agli ideali di un’America più giovane e più felice: capisco che la distinzione può apparire sottile, se non lambiccata,macosì la penso. Insomma: se mi passate un parallelo «poetico», direi che De Gregori-Marini stanno a Pasolini come Springsteen sta a Edgar Lee Masters. Poi, magari,me la sono sognata soltanto io, e gli interessati cadranno dalle nuvole.

Ciò detto, mi sembra interessante rilevare attorno ai cinquant’anni anche un artista come il Boss senta l’esigenza di fermarsi e di riportare tutto a casa. Sarebbe assurdo, e pure ingeneroso, continuare ad attendersi da Springsteen un altro «Born to run». In molte arti - sempre con le dovute eccezioni - e nella musica in special modo - con minori eccezioni - la giovinezza è il tempo dell'invenzione, della rivoluzione, della creatività scatenata e sconvolgente: l’età matura (come in tutti, o quasi) ingenera stanchezza e appagamento, e i lampi e le illuminazioni si rarefanno; e tuttavia porta esperienza e capacità di riflettere. Se mancano lo scatto felino del centravanti e il fiato del centrocampista, si acquista la sorniona inventiva del regista, che non ha bisogno di correre e scattare: gli basta tenere il campo con autorevolezza, trovarsi al punto giusto nel momento giusto, e inventare il tocco, la magia, il passaggio geniale, la poesia. Beh, «We shall overcome» è il disco del Boss in questo nuovo ruolo: non deve più correre, lui che era nato per correre. Tocca palla, ed è subito partita.

Bruce Springsteen
Weshall overcome
Columbia


La Stampa

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