INCAS

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BeatAurora
00venerdì 22 aprile 2005 16:52

Incas o Inca, titolo onorifico () degli antichi sovrani amerindi di stirpe quechua della regione di Cuzco (Perù), passato a indicare collettivamente le popolazioni andine da questi sottomesse (quechua, aymarà, kolla ecc.).

Fondato verso al metà del sec. XV da Pachacuti (1438-71) e dal figlio Topa Yupanqui (1471-93), l’Impero Incas o Tahuantisuyu raggiunse l’apogeo sotto Huayna Copac (1493-1527).
Gli Incas furono assoggettati da Pizarro nel 1522, ma, dal 1563, con Atahualpa, animarono ribellioni indie: l’ultima condotta da Tupac Amaru, fu repressa nel 1571.

L’Impero comprendeva un territorio lungo 4000 km, dalla Colombia sud-occidentale, al Cile settentrionale. La civiltà Inca, una della maggiori precolombiane, poggiava su un apparato statale centralizzato e con un’Economia collettivistica; cellula base erano i villaggi, abitati dalle famiglie imparentate e legate da vincoli di solidarietà (ayllu).
Esisteva un sistema di contabilità e di comunicazione mediante un codice di cordicelle e nodi (quipu).
La Religione, Politeista, s’incentrava sul culto del Dio Sole (Inti) e faceva capo al sovrano che sovrintendeva alla casta sacerdotale, detentrice delle conoscenze tecniche, mediche ed astronomiche.
Dell’Architettura restano imponenti costruzioni in legno e in pietra e grandiose mura ciclopiche ().
Le Città più importanti sono: Cuzco, Machu Picchu, Ollantaytambo, Pisac; costruite su terrazze a diversi livelli di altitudine, sono organizzate secondo assetti uniformi.
Importanti furono le lavorazioni in ceramica, sviluppata era la tessitura e la metallurgia.

A Tiahuanaco, una delle più misteriose e suggestive città morte del globo, dista 25 km dal lago Titicaca, il cui livello si abbassa sempre più; “In un titanico palazzo c’è una sala lunga 45 piedi e larga 22 piedi, cojn un tetto costruito come quelli del tempio del Sole di Cuzco”; gli indigeni dicono che è il tempio consacrato a Viracocha, il creatore del mondo.

Le leggende dunque concordano, comprese quelle del diluvio universale e dei giganti. C’è chi vuole, infatti, la città edificata dai Titani, gli stessi che, disobbedienti, sarebbero stati cancellati dalla faccia della terra dal Dio. Al Diluvio e ai Titani sembrano volerci rimandare anche tante interpretazioni dal nome di questo enigmatico centro, secondo Luis E. Valcarcel si dovrebbe pensare al luogo dove si congiungono terre ed acque (dai monosillabi TI= insieme, WA= Terra, NA= unione, CO= acqua);

Comunque sia la metropoli pare che sia stata danneggiata seriamente 9500 anni prima della nostra era, in seguito al cataclisma che causò lo sprofondamento di Atlantide ed elevò la cordigliera delle Ande alla sua attuale altitudine.

Quando gli Incas giunsero sul Titicaca, trovarono la città già distrutta e deserta, ed è quindi impossibile stabilire l’età; c’è chi fa risalire a 16.000 ani fa, ma senza dubbio le rovine posano su resti di centri ben più antichi.

Gli scavi condotti dal Centro d’Investigazioni Archeologiche di Tiahuanaco, produssero conclusioni stupefacenti:

“ Cinque città giacciono sepolte, con carcasse di Toxodonti, di mammiferi ungulati di età antidiluviana (…) lo studio delle stratificazioni rivela che lunghi secoli di splendore furono troncati all’improvviso, seguirono periodi di decadenza e spettacolose rinascite”.

Una datazione, sia pure approssimativa, è impossibile; ci converrà tenerci lontano, comunque, dai milioni di anni che gli ufomani assegnano alla prima metropoli, dicendola fondata da colonizzatori spaziali.

Il Lago Titicaca è molto bizzarro: posto a 3812 metri sul mare, misura 8300 km quadrati e costituisce ancor sempre un grosso rompicapo per la scienza, soprattutto per il suo notevolissimo contenuto salino. Nella lingua degli Anymarà, titi significa “puma” e coca significa di colore fulvo, ma è anche il nome di un pesce locale avente un ruolo considerevole nelle leggende della Creazione e del Diluvio. Si usa di tradurre tale denominazione dello specchio d’acqua con “Lago del puma e del pesce sacro”; rifacendosi alla tradizione che lo descrivono come “Grembo dell’Umanità”. Qui Viracocha, il Dio supremo degli Incas, tentò di creare una razza perfetta: quattro volte ebbe fallito, annientando i frutti dei suoi errori con violenti uragani, e terremoti senza pari e, alfine, pietrificando i disobbedienti. Si tratta di credenze che trovano conferme nei testi sacri Indiani, Mesopotamici, Maya; tanto per citarne alcuni.

Sul lago Titicaca, incontriamo un fatto nuovo, vediamo uno spunto fantascientifico nelle parole rivolte dell’Imperatore Atahualpa a Pizarro:” Ecco l’impronta lasciata dal sole quando prese lo slancio per salire al cielo”.

Lo storico Garcilaso de la Vega (1539/1616), racconta di essere disceso in gallerie scavate sotto la laguna di urcos, fra Cuzco e il lago, delle quali sarebbe “salito al cielo un enorme serpente d’oro”.

È il serpente Amaru, registrato sul calendario degli antichi peruviani e dai polinesiani a segnare l’inizio dell’anno.

Le stesse gallerie che si aprirebbero dal Titicaca non solo verso il Descabezado Grande, ma in parecchie altre direzioni disegnano costellazioni ignote.

Un austriaco, Tschudi, parlò di “strade sotterranee che si estendevano in tutta la regione, a volte allargandosi a formare grandi sale accuratamente costruite”.


E l’archeologo Kauffmann Doig dichiara che la Porta del Sole di Tiahuanaco “potrebbe celare l’ingresso di uno smisurato tunnel” dalle diramazioni imprevedibili.

Si attribuisce alla città di Tiahuanaco l’appellativo di Città Magica, infatti è sufficiente ripercorrere alcuni passi delle antiche cronache, come ad esempio:

Garcilaso de la Vega: “ L’opera più bella è una collina costruita da mani umane, con la quale gli abitanti di questa città hanno voluto imitare la natura. Per impedire che le masse di terra precipitassero, essi ne hanno assicurato le fondamenta con muraglioni di pietre connesse a perfezione (…). Da un lato si vedono giganti di pietra con copricapo e lunghi mantelli, molti enormi portali sono stati costruiti con un solo blocco”

Diego d’Alcobaca: “ nel mezzo delle costruzioni di Chuquiyuto, sulla sponda del lago, c’è una piaza di 24 metri quadrati e su un lato si estende una sala coperta lunga 14 metri. La piazza e la sala sono stati ricavati da un blocco solo, rappresentazioni di uomini e donne perfettamente costruite che sembrano vive; alcune figure sono in atteggiamento abitudinario, altre sono ancora donne che porgono il seno a dei bambini”.

Ignoto: “la grande sala del trono di Tiahuanaco è larga 48 metri e lunga 39; la più piccola è larga 26 metri e lunga 30 (…). I templi a terrazza sono identici a quelli che sorgevano tra il Tigri e l’Eufrate”.

Jimenez de la Espada: « c’è un palazzo che è una vera e propria ottava bellezza del mondo : pietre lunghe 37 piedi e larghe 15 piedi, sono state lavorate in modo tale di incastrarsi l’una con l’altra senza che se ne scorga la connessione ».

Un racconto di fantascienza? No, affatto, un valido appoggio al mio articolo è dato da un gradino, il sesto precisamente, della scalinata che conduce al portone del Castello di Niedzica: eretto sulla sommità di una collina in Polonia meridionale, venne costruito nel 1320 dalla famiglia Bersevichy, di origine ungherese.

Il gradino in questione fu sollevato il 31/07/1946, alla presenza di alcune autorità, da un discendente della famiglia nobile, un certo Sebastian Bersevitchy, il quale era giunto alla scoperta, seguendo riferimenti ritrovati su antiche carte di famiglia.

L’oggetto che venne fuori stupì tutti i presenti, si trattava di un tubo di piombo in cui era racchiuso un fascio di strisce di cuoio. Ogni striscia portava parecchi nodi sui quali erano fissate placche d’oro: era un quipu, uno dei famosi documenti dell’antico Perù, e tutti lo osservavano con un certo timore e si chiedevano perchè in Polonia? Cosa sono quei nodi? Tanti misteriosi quesiti che convergono in una spiegazione quasi fiabesca ma meravigliosamente intricante.

“La storia inizia quando un diretto discendente della famiglia Bersevitchy, che, dopo un viaggio in sud – america, conobbe una Principessa Inca, se ne innamorò ed ebbero una figlia di nome, Umina. Nel 1781 scoppiò in Perù una ribellione contro gli spagnoli, il capitano dei ribelli, morto in battaglia, aveva un nipote che si chiamava Tupac Amaru, come lui, era aspirante al trono Incas e conobbe Umina, i due si innamorarono, si sposarono ed ebbero un figlio, e da lì a poco tempo, temendo la repressione spagnola, Sebastian, Moglie, Umina, Topac e il piccolo, emigrarono in Europa. Per circa 15 anni la famiglia visse in Italia, poi Tupac morì, e così, il padre di Umina decise di portare il resto della famiglia, per paura della repressione spagnola anche in territorio italiano, in Polonia, appunto nel Castello di Niedzica.

Ma la vendetta, come si sa ha le mani lunghe, dopo poco tempo Umina cominciò a ricevere visite dalla lontana patria. Gli invitati si presentavano con alcuni quipu preziosissimi: in quei documenti c’erano le indicazioni esatte che conducevano al tesoro reale. Queste immense ricchezze erano state nascoste, dopo l’invasione spagnola, nel lago Titicaca. Ma i quipu contenevano un’altra importante informazione; davano l’ubicazione esatta del punto in cui, nella Baia Vigo, era affondata la nave spagnola su cui era stato caricato un altro tesoro: erano stati gli Incas trascinati a bordo come schiavi, a provocare l’inabissamento della nave, con tutto il suo prezioso contenuto. Dopo la morte del padre, Umina nascose i documenti, ma un brutto giorno cadde vittima di un attentato: morì pugnalata nelle stesse circostanze che avevano contraddistinto l’assassinio dello sposo Tupac. Il figlio di Umina, Antonio, rimase solo, anch’egli esposto alle possibili rappresaglie degli oscuri nemici; e un suo zio, il fratello del padre di Umina pensò di adottarlo; grazie al cambiamento di nome, Antonio potè così sfuggire alla persecuzione e sulla famiglia Amaru cadde il silenzio.

Trascorsero gli anni, e dei discendenti degli Incas non si parlò più; restarono i miti, le leggende sui loro tesori, che spinsero non pochi avventurieri a imprese pazzesche. Nessuno poteva immaginare che i documenti rivelatori si trovassero in un lontanissimo paese polacco, ma il discendente, sollevando, nel 1946, il famoso sesto scalino, scatenò intorno al quipu un enorme interesse.

Studiosi di tutto il mondo lo esaminarono, tentando di decifrarlo, ma nessuno riuscì nell’ardua impresa, si potè solo concludere che quel documento che dava indicazioni parziali, potrebbero essere completate con alti quipu, forse nascosti nello stesso castello in Polonia.

Un giorno, forse, qualcuno li troverà; magari sarò io stesso; Umina comunque, deve avere fatto il possibile per renderli irreperibili, guidata fino all’ultimo, dalla saggezza dei suoi antenati.








BeatAurora
00venerdì 22 aprile 2005 16:55

zaccaria cat
00venerdì 22 aprile 2005 18:13
zaccaria cat
00venerdì 22 aprile 2005 18:15
NAZCA
BeatAurora
00domenica 30 aprile 2006 10:42
La lingua perduta degli Inca


I Khipu, formati da corde intrecciate di varie fibre, servivano probabilmente per archiviare informazioni esattoriali. Clicca qui per vedere da vicino questi codici misteriosi.



Forse si comincia a capire qualcosa di un oscuro e affascinante codice segreto utilizzato dai vertici della società Inca. Rinvenuti in varie parti del grande impero andino, i Khipu sono misteriosi manufatti composti da una corda di lana di alpaca, lama e cotone dalla quale si dipanano numerose cordicelle più piccole, tutte ricoperte di minuscoli nodi posizionati apparentemente a caso.
Che questi oggetti senza alcuna utilità pratica siano le “sillabe” di un linguaggio criptato è sempre stato evidente.
Se ne erano già resi conto i conquistatori spagnoli che avevano rinvenuto i primi Khipu risalenti al 1400/1500 a.C. Nessuno però è mai riuscito a decifrare il significato di questo linguaggio, che forse verrà mai più recuperato.
Legami nascosti. Oggi, però, qualcosa di più emerge. Gary Urton e Carrie Brezine della Harvard University sembrano aver trovato un modo per iniziare un'opera di decodifica che tuttavia difficilmente permetterà di decifrare i circa 600 Khipu ritrovati fino a oggi.
I due ricercatori, un antropologo e un matematico, hanno catalogato in un database i 21 Khipu rinvenuti a Puruchuco, il cuore amministrativo della civiltà Inca, includendo informazioni su numero e posizione delle cordicelle “secondarie” e dei nodi.
I dati, incrociati tra loro secondo criteri statistici, hanno rivelato che le informazioni contenute nelle cordicelle “minori” presentano in alcuni casi un legame con altre cordicelle di Khipu provenienti da diverse parti dell'Impero Inca.
Registri esattoriali. Insomma, tutto farebbe pensare che questi curiosi manufatti tessili servissero a raccogliere e ordinare dati provenienti dalle varie province del vasto Impero.
Ma che tipo di dati? Quasi sicuramente numerici, visto che la posizione e la forma dei nodi indicano certamente delle cifre. Un'ipotesi su cui si sta lavorando è che i Khipu fossero registri fiscali in cui era annotato, ad uso delle classi dirigenti, il pagamento delle tasse.




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