Quirinale,

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BeatAurora
00venerdì 30 gennaio 2009 11:27
la carica del Seicento





di Fabio Isman



ROMA - Nella Sala Gialla del Quirinale s’è risolto un “giallo”, ma se ne è aperto un altro: e non è soltanto un calembour, un facile gioco di parole; sono i primi, eccezionali esiti di un coraggioso restauro, ed è una delle sorprese che, come sempre, i restauri recano con loro. E ora, pare quasi certo che una parte del Palazzo già dei Papi, poi dei Re, e oggi del Capo dello Stato, verrà ripulita dagli insulti recati dall’occupazione napoleonica a inizio dell’Ottocento, e dai rimedi (ancora peggiori dei guasti) con cui, nell’ultimo scorcio del suo regno terreno, Pio IX Mastai-Ferretti aveva cercato di mettervi riparo; così, riassumerà l’aspetto che aveva nel Seicento, quando Alessandro VII Chigi la fa decorare da Pietro Berrettini detto da Cortona. Dipingono anche alcuni tra i migliori artisti del momento: Carlo Maratta, Gaspard Dughet, Ciro Ferri, Giovanni Paolo Schor, Filippo Lauri; 14 pittori, dai 58 ai 23 anni. La vicenda è intricata: per raccontarla, occorre un po’ d’ordine.Il Quirinale è un palazzo composito, frutto di successive edificazioni dal 1583 (palazzina e torre di Ottavio Nonni, il Mascherino), in poi. Sisto V Peretti e Paolo V Borghese commissionano altri lavori; a inizio Seicento, vi operano Flaminio Ponzio e Cesare Maderno; Urbano VIII Barberini vi impiega Gian Lorenzo Bernini; finché Alessandro VII Chigi, nel 1655, fa affrescare la Galleria che porta il suo nome. Storie del Vecchio e Nuovo Testamento, intervallate da decorazioni di colonne binate con sfondi di verzura, degli animali e qualche divertissement (qualcuno vi fa perfino capolino). Non dura due secoli: quando arrivano i francesi, il Quirinale è destinato a divenire la reggia di Napoleone (ma non vi metterà mai piede), e la Galleria di Alessandro VII l’appartamento di Maria Luigia, l’imperatrice. Nel 1813 è divisa in tre sale (degli Ambasciatori, di Augusto, e la Gialla); chiuse la metà delle 26 finestre, quelle verso il cortile, per poter appoggiare dei mobili al muro: una cosa sono le stanze di un’imperatrice, un’altra, tutta diversa, è una Galleria. Restano visibili soltanto le Storie del Testamento: tutto il resto, annegato sotto altre pitture e poi da pesanti parati (imposti dai Savoia, quando quella di Augusto diventa la Sala del Trono). Il Papa torna, e in due delle tre sale “corregge” i guasti dei francesi; ma vi fa dipingere sopra brutte Virtù teologali personificate. E così, l’aspetto del Seicento è obnubilato per due secoli.

Nel 2001, dei lavori fanno riscoprire gli affreschi nella Sala degli Ambasciatori; quattro anni dopo, l’archeologo Louis Godart, consigliere culturale di Carlo Azeglio Ciampi e ora di Giorgio Napolitano, si accorge che, dietro i muri posticci, le finestre verso il cortile nella Sala d’Augusto sono restate intonse: anche nel decoro degli sguinci. Sono riaperte, e il locale riacquista l’originaria luminosità, che colpisce anche Benedetto XVI nella prima visita. Gli afffreschi del Seicento riscoperti (ma solo su un lato del salone) restano però monchi: cancellati dalle ridipinture francesi e di Pio IX nel registro superiore; colonne mozze, che si fermano a metà. Poi, il Quirinale inizia il restauro della Sala Gialla: anche qui, finestre riaperte e parati rimossi, Pietro da Cortona ritrovato. «Ma stavolta, abbiamo fatto di più», racconta Louis Godart: si sono compiuti dei saggi sotto le ridipinture, «e si è scoperto che l’apparato originale non è perduto». Le regole dei restauri vorrebbero che i mutamenti dell’Ottocento non siano rimossi; in questo caso, lo speciale comitato che “sorveglia” gl’interventi al Quirinale (nomi celebri: da Salvatore Settis a Caterina Bon Valsassina che dirige l’Istituto del Restauro, ai segretari generali della Presidenza della Repubblica e del ministero dei Beni culturali, ai soprintendenti Marchetti e Strinati, alla torinese Andreina Griseri e altri) pensa di procedere in modo diverso: strappare le pitture recenti, e recuperare l’insieme del Seicento; «lo strappo non distrugge, ma solo rimuove», dice Godart.

Intanto, sulla parete di fondo, sotto Giuseppe riconosciuto dai fratelli di Pier Francesco Mola, è saltato fuori un monocromo in ovale sorretto da due putti, con la Porta del Popolo su cui è lo stemma Chigi: come la volle Alessandro VII nel 1655, appena rifatta da Bernini per l’ingresso a Roma di Cristina di Svezia, la regina che s’era convertita. La grisaglia è gemella della Facciata di Santa Maria della Pace (altro restauro di Alessandro VII e Pietro da Cortona) che è sull’altra testata della Galleria oggi divisa in tre, sotto l’Adorazione dei Pastori di Maratta. «Va ritrovata ancora la Sala degli Ambasciatori: le finestre sul cortile sono chiuse, e la decorazione recuperata solo per metà. Inizieremo a fine anno, e il Presidente Napolitano ha già deciso che il restauro non dovrà pesare sul bilancio dello Stato», spiega Godart. Fin qui il “giallo” risolto.

Ma durante i lavori, s’è aperto un altro mistero. Nei vani di due finestre riaperte, sono state trovate due scritte. Una è, presumibilmente, la data dei lavori napoleonici, 4.11.13, 4 novembre 1813, forse graffita da un muratore; nell’altra, a matita, un tal «Amato» scrive «incarcerato in questo luogo», però la data è incerta: un 9 gennaio di un anno che forse termina per 49. Non è certo il 1849, quando il vano era ormai tamponato dal muro dei francesi; Godart dice»: «Restauratori e studiosi cercano d’interpretarla». Del resto, i Papi non procedevano con mano lieve. Accanto alla Porta la cui effigie è stata ritrovata nel Quirinale, a Piazza del Popolo, una lapide ricorda l’ultima esecuzione a Roma: la decapitazione dei carbonari Leonida Montanari e Angelo Targhini, nel 1825. La ghigliottina è introdotta nel 1810 a Roma dai francesi: i Papi usavano altri metodi. Ma come al suo ritorno nel palazzo del Quirinale Pio IX non ne cancella alcuni decori sopra i dipinti antichi, così non ne sopprime nemmeno il metodo di supplizio. Chi fosse «Amato» (chiaramente, non da tutti), e quando, dove e perché sia stato rinchiuso, costituisce proprio un nuovo mistero.


ilmessaggero
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