Subsonica:

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BeatAurora
00domenica 23 novembre 2008 11:06
«Quel che conta è il live»



di Simona Orlando

ROMA (22 novembre) - Quel che conta è il live. Così pensano da sempre i Subsonica, in attivo da dodici anni, capaci di abbattere il pregiudizio secondo cui chi fa musica elettronica non ha preparazione strumentale. Il gruppo ha saputo proporre testi non banali, prestare attenzione alla melodia, trovare la giusta misura tra digitale e calore e oggi raccoglie i frutti del lungo lavoro: l’antologia Nel vuoto per mano ’97-2007 è finita in classifica pur non aggiungendo granché al suo percorso (salvo un inedito intitolato Il vento) e le date nei club sono raddoppiate nonostante abbia già proposto un tour nel 2007. Il suo pubblico di “terrestri” accorre numeroso, finora ha fatto registrare sold out ovunque ed è chiamato a raccolta nelle prossime serate (24-25 novembre Milano, 28 Napoli, 29-30 Bari, 5 dicembre Roma, 6 Bologna, 7 Rimini). A tirare le somme è Samuel, voce della band torinese.

La musica come antidoto al vuoto interiore. Quali sono i vuoti da colmare rispetto all’esordio?
«In parte sono gli stessi. Tentiamo di costruire un nostro codice emotivo, guardarci dentro e estrarre cose che ci rappresentino. Cerchiamo continuamente di capire come esprimerci e comunicare, come dare la nostra vita a questo lavoro. Quando fai musica occasionalmente c’è una certa ingenuità che ti contraddisingue. Quando diventa un mestiere la cosa più agognata è viverla ancora con grande passione e divertimento, anche perché gli impegni sono tanti, spesso interfacciati con cose che la riguardano poco».

Un best però non vi preserva. Ribattere su vecchi brani non vi costringe a diminuirne l’intensità?
«Non conta l’appartenenza temporale della canzone, ma la frequenza con cui la suoni. Nel tempo capita che qualcuna si consumi, si svuoti, e allora ce ne prendiamo cura. Per mantenere vivi i brani rinunciamo a inserirli in un tour per riprenderli magari in quello successivo, così tornano a farci vibrare».

Come è oggi il cielo su Torino? La vostra città in genere è la cartina tornasole della crisi economica
«Siamo sempre in giro per l’Italia quindi la viviamo poco. La vita notturna è leggermente rallentata, soprattutto dopo la sovraesposizione nel periodo delle Olimpiadi, quando la gente si è davvero impossessata della città. Aldilà della crisi evidente, c’è un freno naturale, un’onda».

A proposito di onda. Non si vedevano studenti davanti ai cancelli di Mirafiori da trent’anni. E’ un segnale positivo?
«Ottimo, direi. Negli ultimi tempi c’è stato un tentativo di appiattire culturalmente il nostro paese. Sembrava che gli studenti non esistessero, non si evolvessero. Finalmente hanno deciso di proteggere il loro futuro. E’ una bella sorpresa».

Sul sito esultate per la nuova era Obama. Il nostro, invece, è un paese per vecchi?
«L’elezione di Obama ci dà gioia, ma acuisce il senso di arretratezza. Il modo di progredire nel lavoro da noi è basato su vecchi modelli, non si dà fiducia ai giovani che hanno invece enormi capacità, e non si permette loro di fare esperienza. E’ un gatto che si morde la coda. Difficile svecchiare questa struttura mentale, perciò molti vanno fuori a lavorare».

Fuori vi siete affacciati anche voi, con concerti in Spagna, Inghilterra e Belgio. Che situazione avete trovato?
«Siamo stati accolti benissimo pur non avendo ancora un disco distribuito all’estero. A Londra abbiamo fatto un sold out di 1.400 persone, a Bruxelles di mille persone. Lì abbiamo visto coi nostri occhi quanti italiani si sono spostati, quanti studenti Erasmus non sono più rientrati. Inoltre abbiamo scoperto che agli inglesi interessa molto di più sentir cantare in italiano che sentire un italiano cantare in inglese».

A Genova avete cantato Preso Blu contro le assoluzioni e le pene poco severe per i fatti della Diaz, eppure non siete un gruppo politicizzato…
«Avevamo già scritto il brano Sole silenzioso ispirato ai fatti del G8 e il giorno della sentenza, di fronte a una soluzione così ipocrita, ci siamo sentiti di dare un nostro contributo. E’ questione etica più che politica: si sono raccontate bugie per nascondere smomode verità».

Le date sono esaurite o raddoppiate. Cosa aiuta a consolidare la realtà musicale Subsonica?
«Il live è una cosa unica e irripetibile, le emozioni che ti dà non puoi scaricarle dal web. Inoltre siamo sempre andati incontro alle necessità del pubblico contenendo al massimo i prezzi dei nostri biglietti, anche quando abbiamo suonato nei palazzetti. Questo tour nei club ha fatto diminuire ancora di più il costo d’ingresso. Poi noi siamo nati nei club, è un ritorno alle origini, ed è una dimensione che incuriosisce: l’interazione col pubblico è più veloce, meno filtrata, non si viene distratti da luci e scenografie. E’ più vivo l’orecchio a sfavore dell’occhio».

Le sequenze I-doser che utilizzate fanno effetto o effetto placebo?
«Si basano su un processo fisico, sono onde lievemente sfasate che si dice siano supefacenti se ascoltate con le cuffie. Noi invece le lanciamo da un impianto un quarto d’ora prima del concerto per gioco, per inebriare metaforicamente il pubblico».

Come si struttura il nuovo live?
«La prima parte è tradizionale, simile a un concerto dei Subsonica dei primissimi anni ‘90, poi c’è un sipario acustico e una parte nuova, più simile a una suite techno. Quando ci hanno invitato a suonare a Ibiza, alla meganight del Privilege, avevamo il timore di salire su un palco calcato principalmente da dj, che utilizzano la musica in maniera diversa da un gruppo musicale-strumentale come il nostro. Quindi abbiamo selezionato i brani che avevano quel tipo di attitudine e lì abbiamo arrangiati e missati insieme».

Avete sposato la causa contro il nucleare e vi dimostrate sensibili alla questione ecologica. Riuscirete a fare concerti a impatto zero?
«Nella tournée estiva siamo riusciti ad utilizzare pannelli fotovoltaici per alimentare gli strumenti e i monitor sul palco, in questo tour abbiamo ridotto la strumentazione e giriamo con un tir anziché con tre. E’ un primo passo. Purtroppo non si può cambiare tecnologia dall’oggi al domani, soprattutto per le tasche di produzioni medie e non enormi come la nostra. Quotidianamente ci sono però piccoli gesti che ognuno può fare senza fatica, tipo chiudere l’acqua mentre ci si fa la barba o mentre ci si insapona sotto la doccia. Anche qui: è questione solo di cambiare mentalità».


ilmessaggero
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