00 23/12/2005 23:31
Una carogna
Ricordi tu l'oggetto, anima mia,
che vedemmo quel mattino d'estate così dolce?
Alla svolta d'un sentiero
un'infame carogna sopra un letto di sassi,
le gambe all'aria, come una femmina impudica,
bruciando e sudando i suoi veleni, spalancava,
con noncuranza e cinismo,
il suo ventre pieno d'esalazioni.

Il sole dardeggiava su quel marciume
come volendolo cuocere interamente,
rendendo centuplicato alla Natura
quanto essa aveva insieme mischiato;

e il cielo contemplava la carcassa
superba sbocciare come un fiore.
Il puzzo era tale che tu
fosti per venir meno sull'erba.

Le mosche ronzavano sul ventre putrido
donde uscivano neri battaglioni di larve
colanti come un liquame denso
lungo gli stracci della carne.

Tutto discendeva e risaliva come un'onda,
o si slanciava brulicando: si sarebbe
detto che il corpo gonfio d'un vuoto soffio,
vivesse moltiplicandosi.

E tutto esalava una strana musica,
simile all'acqua corrente o al vento,
o al grano che il vagliatore con ritmico
movimento agita e volge nel vaglio.

Le forme si cancellavano riducendosi a puro sogno:
schizzo, lento a compiersi,
sulla tela (dimenticata) che l'artista
condurrà a termine a memoria.

Dietro le rocce una cagna inquieta
ci guardava con occhio offeso,
spiando il momento in cui riprendere
allo scheletro il brano abbandonato.

- Eppure tu sarai simile a quell'immondizia,
a quell'orribile peste, stella degli occhi miei,
sole della mia natura, mia passione, mio angelo!

Sì, tu, regina delle grazie,
sarai tale dopo l'estremo sacramento,
allora che, sotto l'erba e i fiori grassi,
andrai a marcire fra le ossa.

Allora, o bella, dillo,
ai vermi che ti mangeranno di baci,
che io ho conservato la forma e
l'essenza divina di tutti
i miei decomposti amori.