00 12/10/2007 18:31
45 anni di musica libera


di Simona Orlando

ROMA (12 ottobre) - Nel 2008 saranno quarantacinque gli anni di militanza musicale dei Nomadi, i quali, nel frattempo, intrattengono il loro seguito intergenerazionale di fan con un aperitivo a base di doppio cd e dvd, intitolato Nomadi & Omnia Symphony Orchestra. La festa vera e propria poi si farà, e accorreranno in centomila e più, come al solito. Il disco è la registrazione dei concerti del 6 e 7 aprile 2007 al PalaBrescia in compagnia di ottanta musicisti classici, la concretizzazione della struttura sinfonica delle canzoni del gruppo emiliano (trentadue per l’esattezza), riarrangiate dal maestro Bruno Santori, una vecchia conoscenza ritrovata al Sanremo 2006.

L’antologia è composta per oltre la metà di brani recenti (incluso il festivaliero Dove si va e L’ultima salita dedicata a Marco Pantani, a sottolineare quanto sia semplice per i Nomadi trasformare una novità in un classico), e regala due inediti registrati in studio: Ci vuole un senso, primo singolo in uscita, e La mia terra, interpretato a due voci da Danilo Sacco e Massimo Vecchi, scritto pensando «a chi intraprende un viaggio, una nuova vita, anzi, siamo più espliciti, a chi sbarca a Lampedusa - racconta Beppe Carletti, anima storica del gruppo - Da sempre scriviamo canzoni sulla libertà, ma in passato era più facile farsi ascoltare, oggi ci sono meno ideali e più voglia di consumare. Non esistono più modelli di riferimento come Salvator Allende e Chico Mendes. Apparentemente siamo più liberi, invece spesso sono gli altri a scegliere per noi».

I vecchi cavalli di battaglia non sono stati lasciati a riposo: al disco si incolla la memoria di Augusto Daolio e le creazioni di un giovane e poco noto Guccini sbocciano in nuova versione, perché come dicono loro, «la storia dei Nomadi è legata indissolubilmente a Francesco». Allora ecco che l’orchestra ricalca lo spessore di La collina e Noi non ci saremo del 1966, cronaca di un disastro nucleare ancora minaccioso, Auschwitz si fa epica, Ophelia del 1968 si impreziosisce di archi, Dio è morto trionfa, dopo che nel ’67 venne censurata dalla Rai e trasmessa da Radio Vaticana, Io vagabondo conclude.

Asia del 1974, è un’altra suggestione che si manifesta, fondendo violini pizzicati e chitarre elettriche, ma alla luce dei fatti di Birmania assume un significato nuovo il suo testo I bianchi e la natura non possono schiacciare i Buddha, i Chela, gli uomini ed il mare. Terra di meraviglie, terra di grazie e di mali. Ricorda Carletti: «Abbiamo sposato la causa tibetana anni fa, conosciuto il Dalai Lama, incontrato tanti monaci buddisti, uomini umili e pacifici, e vedere far loro del male ci ha profondamente indignato. Forse ancora peggio è stato vedere la reazione fioca dei grandi del mondo: è la dimostrazione che intervengono solo dove ne ricavano qualcosa».

ilmessaggero
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