00 03/03/2009 11:59
i tesori di Sumhuram, città dell'incenso



di Sergio Rinaldo Tufi

ROMA - Dal 1996 una missione dell’Università di Pisa lavora nell’Oman, in collaborazione con le autorità del Sultanato, nella regione del Dophar, nota in antico come “Paese degli aromi”: eccellente soprattutto la qualità dell’incenso. Fra i vari siti oggetto dell’ intervento spicca la città fortificata di Khor Rori, l’antica Sumhuram, costruita su uno sperone di roccia presso una splendida insenatura naturale alla foce del fiume Dorbat, che prima di gettarsi nel Mare Arabico si allarga in un’ampia laguna.

Un poderoso volume curato dalle direttrice della missione, Alessandra Avanzini, e appena pubblicato da “L’Erma” di Bretschneider (A port in Arabia between Rome and the Indian Ocean), consente di fare il punto su un’operazione che mira, dopo lo scavo, anche alla creazione di un parco archeologico. Una precedente missione americana (anni ’50 del secolo scorso) non aveva avuto modo di completare il lavoro: malgrado questo, il sito è stato inserito dall’UNESCO fra quelli censiti come “Patrimonio dell’umanità”. Sumhuram faceva parte del regno dello Hadramawt (il cui territorio in parte è compreso anche nell’odierno Yemen): uno dei grandi regni sud-arabici (insieme con Saba, Main, Qataban) che dall’inizio del 1° millennio a.C. avevano sviluppato una notevole cultura urbana (imponenti città cinte di mura) e un’ancor più notevole tecnica idraulica (grandi dighe a captare l’acqua dei torrenti impedendole di disperdersi nel deserto, come a Marib nel regno di Saba).

“Sumhuram” significa “il suo nome è alto”: il nome è probabilmente quello del veneratissimo dio Sin, cui era dedicato il principale edificio pubblico individuato nella città. Un tempio dalla pianta piuttosto complessa, di non facile lettura.

Oltre al tempio, altre architetture ci danno un’idea della rilevanza dell’insediamento: un quartiere residenziale, destinato a un ceto di ricchi mercanti; un’area di magazzini, sempre in funzione degli scambi di merci su ampia scala; una “piazza del mercato”; un tempio extraurbano; una poderosa cinta di mura con torri, più “sottili” a sud, verso il mare (circa 1,80 m.), più larghe sugli altri tre lati (fino a 3,30 m.!). Nelle mura si aprono porte, fra le quali una davvero monumentale.

La città vive fra III secolo a.C. e V d.C.: per tutto questo tempo, pur subendo varie ricostruzioni al suo interno, mantiene un’estensione costante, circa 8500 mq. Dimensioni non grandi: l’insediamento vive, in pratica, soprattutto in funzione del porto. Il porto ha due importantissime funzioni: base di partenza per l’esportazione dell’incenso, maggiore risorsa locale; ma anche tappa sulle grandi rotte che pongono le civiltà classiche del Mediterraneo in comunicazione con il sub-continente indiano.

L’incenso, si sa, è una resina che si ottiene dalla corteccia della Boswellia Sacra, un albero ancora ben presente nell’area di Khor Rori: è sempre stato molto ricercato, e si usava sia in riti religiosi e funerari (i Cristiani cominciarono a impiegarlo a partire dal IV secolo), sia come profumo. Ma per il porto di Sumhuram transitavano anche i raffinati prodotti provenienti dall’India: pepe e altre spezie, funghi, perle, avorio, stoffe, gusci di tartaruga.
Scambi commerciali su grandi distanze esistevano da tempi remoti, ma ad avvicinare culture diverse aveva fortemente contribuito la grande marcia verso Oriente di Alessandro Magno: debellato l’impero persiano, era giunto sulle rive dell’Indo. Oltre alla potenza dell’esercito macedone, “marciarono” con lui prestiti linguistici, progetti architettonici, influssi artistici; al tempo stesso, si apprezzarono in maggior misura le risorse di terre lontane.

Alessandro morì nel 323 a.C.: in Egitto, il grande condottiero aveva fondato fin dal 332, nel delta del Nilo, una grande città che recava il suo nome, Alessandria, che presto divenne punto di riferimento e di mediazione fra oriente e occidente. Costituiva, in tempi in cui il canale di Suez, ovviamente, non esisteva ancora, un cruciale “snodo” fra Mediterraneo e Mar Rosso (il quale a sua volta comunicava con il Mare Arabico e l’Oceano Indiano): a nord un grande porto (con il Faro, una delle sette meraviglie del mondo), a sud notevoli canali di collegamento con il Nilo, che si poteva risalire per lunghe distanze e che a sua volta, attraverso piste di terra, era raccordato appunto con i porti del Mar Rosso.

Quando nel 31 a.C. Ottaviano (che nel 27 avrebbe assunto il titolo di “Augusto”), battendo Antonio e Cleopatra, si impossessò dell’Egitto, le comunicazioni si fecero ancora più intense, anche perché forse fu proprio in età augustea che un enigmatico personaggio di nome Ippalo scoprì i vantaggi che poteva avere per la navigazione l’alterno soffio dei venti Monsoni. Non mancano fonti autorevoli: Strabone, Plinio e l’anonimo autore di un testo preziosissimo, il Periplo del Mare Eritreo. Conosciamo i nomi di una serie di porti fino all’India: ricordiamo fra gli altri Myos Hormos sul Mar Rosso, perché da lì si dice che salpassero ogni anno 120 navi, e Podouke, sulla costa sud-orientale della stessa India, perché è stato addirittura individuato e scavato negli anni ’40 del secolo scorso da una grande archeologo inglese, sir Mortimer Wheeler, nel sito detto oggi Arikamedu.



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