00 18/02/2010 11:02
Sanremo, Nina Zilli: io, giovane squinzia seguace della Winehouse all'Ariston




Fra gli aspiranti della categoria Nuova Generazione
la musicista che odia i reality e ama Mike Patton


di Simona Orlando
SANREMO (17 febbraio) - Se ha un merito questo Sanremo è quello di aver intercettato fra gli aspiranti della categoria Nuova Generazione Nina Zilli. Nina come Nina Simone, suo incrollabile idolo. Cresciuta tra Irlanda e Stati Uniti, compone, suona piano e chitarra, canta, arrangia, si ispira alla musica americana anni 50’ e 60’, rilegge lo ska, il rocksteady, il reggae e il beat italiano.

La scorsa estate ha ottenuto successo con il singolo 50mila, cantato insieme a Giuliano Palma, poi voluto da Ferzan Ozpetek per il suo prossimo film Mine vaganti. E ora ha un delizioso album di debutto dal titolo Sempre lontano che include la cover delle Supremes You can’ t hurry love e il brano sanremese L’uomo che amava le donne. E’ uno di quei progetti che, festival o non festival, andrà avanti con le proprie gambe. Lei è la proposta più originale di questa edizione, eppure propone una musica di vecchia data.
Come se lo spiega?
«Sembra un paradosso, ma la musica anni ‘50 ha la caratteristica di non scadere. Il suono della Motown rappresentò il primo pop a livello mondiale, le melodie so ul di allora restano indimenticabili. Devo ringraziare Amy Winehouse per aver riportato l’attenzione su questa epoca artistica e per aver risvegliato l’interesse della discografia e del pubblico. Sono in tour da anni, ho un mio stile definito ma se non fosse stato per lei, forse nessuno si sarebbe accorto di me».
E’ nota nel sottobosco musicale italiano, quello cioè che in genere non perdona ad un artista di essersi piegato a Sanremo. Come se la caverà?
«A me piaceva il Sanremo dei tempi di Mina e Tenco, poi ammetto che la sua qualità si sia andata deteriorando. Molti amici mi hanno sconsigliato di partecipare, mi hanno detto che sarebbe stato incoerente da parte mia. Ma io vado all’Ariston senza compromessi e con dignità. Sono la lunga gavetta e la costanza ad avermi portato qui, non ci sono rimbalzata per caso grazie ad un reality».
Cos’ha contro i reality?
«Trattano la musica come merce e non come arte. Forse servono a chi si deve forma re, non a chi ha già una strada segnata. Chi ha le idee chiare su ciò che vuole dire e fare non accetta tanta pressione esterna. Io con la coscienza sono a posto, Sanremo non è un reality ma un programma televisivo. Non avrei rinunciato per niente al mondo alla possibilità di sentire il mio brano suonato da quell’orchestra».
Sul suo sito c’è un post intitolato “Sogni e soprannaturale”…
«Mi sembra un miracolo: io giovane squinzia al di fuori di ogni meccanismo, catapultata al centro del mondo. Sono sorpresa che mi abbiano preso, pensavo che la categoria giovani tendesse ad evitare gli emergenti fortemente connotati, con una personalità evidente».
E’ stata VJ ad Mtv e co-conduttrice dell’ultima edizione del Roxy Bar. Lo rimpiange?
«Da artista sì. Red Ronnie ha fatto tanto per la musica in Italia. A passare i primi cinque cantanti in classifica son capaci tutti, invece lui si è occupato di realtà più piccole e non meno importanti, e soprattutto ha permesso a molti di suonare dal vivo: un’abitudine completamente scomparsa in tv».
Ha partecipato a molti festival reggae europei, immagino sia una antiproibizionista…
«Vorrei che la nostra legge facesse distinzione fra droghe pesanti e leggere, invece in Italia si è più tolleranti con la cocaina e con l’alcol che con la cannabis. La vicenda Morgan non è servita purtroppo ad affrontare questo tema seriamente».
Nel suo brano sanremese cita un film del 1977 diretto da François Truffaut, come mai?
«Il regista è riuscito a ritrarre perfettamente una categoria di uomo che conosco bene: colui che fa sentire assolutamente unica te e molte altre».
Con quale uomo duetterebbe?
«Mike Patton dei Faith No More»
Come festeggerebbe un eventuale premio?
«La mia famiglia non mi ha mai appoggiato perché era coscienziosa e preferiva che studiassi. Vedere mia mamma e mia nonna sedute all’Ariston mentre canto un mio brano è la vittoria più grande».


ilmessaggero
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