00 20/02/2010 10:28
Sanremo grazia Pupo, il principe e Lippi ma fa fuori Ruggeri e Fabrizio Moro


Intervento da “rosso” del ct azzurro, la sala invoca Cassano. Jennifer Lopez in versione pantofole. Maiello primo fra i giovani


di Simona Orlando
SANREMO (20 febbraio) - Ed ecco il secondo irreparabile danno del televoto. Non vengono ammessi alla finale Fabrizio Moro, raggiunto da Jarabe De Palo nel reggae di Non è una canzone, ed Enrico Ruggeri, riunito ai suoi Decibel in La notte delle fate (per l’occasione ha anche rimesso i suoi vecchi occhiali) e che oggi in conferenza stampa si era augurato un trattamento di riguardo in quanto buon cantautore, razza in estinzione.

Il “golpe” avviene invece sul versante sabaudo. Alla presentazione del ripescato trio la platea dell’Ariston insorge a suon di fischi. Il senso del testo di Italia, amore mio viene stravolto da monarchico a calcistico (passano infatti le immagini della Nazionale e nasce la nuova frase “in quella notte di Berlino”), ma, viceversa, il duetto con il CT Marcello Lippi si trasforma da citazione calcistica ad arringa difensiva, in tessitura di lodi per questi tre talentuosi artisti. Quando la Clerici, in difficoltà, interviene perché da regolamento non si può sponsorizzare un concorrente, si può solo cantare, Lippi chiede ancora due minuti, così la sala scandisce un coro in favore di Cassano. Non se l’aspettava, Lippi, quindi, nell’imbarazzo, svisa ricordando lo scomparsa di Franco Ballerini, poi fa leva sull’amore degli italiani conquistato sul campo e via retorizzando. Anche Pupo insiste a parlare e dice la sua, ben sapendo che è vietato, mostrando quella spontanea prepotenza di chi si sente intoccabile, grazie alla corazza contrattuale che gli ascolti dei suoi programmi assicurano. Ad esser seri, il trio ha scambiato Sanremo per una puntata dei Raccomandati e si potrebbe considerare la squalifica. Intanto il popolo sovrano gli fa la grazia.

Il vincitore della categoria Nuova Generazione con Il linguaggio della resa è Tony Maiello, il pupillo di Mara Maionchi, il primo frutto extra X Factor di questa edizione, mentre alla brava Nina Zilli va il Premio Critica per L’uomo che amava le donne. Ingresso a passo di valzer per Sissi-Cristina Capotondi e Daniel Ezralow (che oggi in conferenza stampa è stato colto da mitomania: «La Clerici per il Festival è come Obama per l’America»), poi gli attesissimi Tokio Hotel accompagnati dall’orchestra in World behind my wall, senza infamia né lode.

La quarta serata passa nella pista aristoniana, al ritmo dance del Dj francese Bob Sinclair, su cui si dibattono ballerini, breakers e, in controtempo, quaranta meditanti della scuola di yoga. Poi irrompe Gianni Vernia in versione Jonny Groove, un prestito di Zelig (a rinsaldare l’amicizia Raiset), discotecaro rintronato che cerca Dj Vessicchio, scambia la Clerici per Lady Gaga e lista le sue espressioni più note “Essiamonoi”, “Ti stimo”, “Nuoo!”. Verso la fine della puntata torna a comandare il ritmo “unz unz” e la Antonellona passa da un vestito in stile pesce azzurro (almeno coprente) a una mise da ragazza cubo, ritenta una danza, spendendo, per sua ammissione, «gli ultimi colpi della babbiona».

Per i duetti Malika Ayane inserisce Ricomincio da qui in una cornice classica e chiama Sabrina Brazzo (prima ballerina della scala), Simone Cristicchi in Meno male si fa affiancare dal Coro dei Minatori di Santa Fiora, il suo attuale social club, che parte con un saluto stornellato in romano e si innesta appena nel ritornello. Irene Grandi convoca ne La cometa di Halley il toscano Marco Cocci (che è prima cantante eddievedderiano dei Malfunk e poi attore virziniano e mucciniano), Irene Fornaciari in Il mondo piange aggiunge ai Nomadi (purtroppo poco sfruttati) Mousse T. e Suzie, Marco Mengoni scarnifica Credimi ancora e poggia la voce sugli archi dei Solis String Quartet, incrementando la stima di chi già lo sostiene. Per Malamorenò Arisa sceglie il dixieland della Lino Patruno Jazz band, Noemi e Kataklò si uniscono in Per tutta la vita, Povia e Marco Masini drammatizzano La verità, con tanto di candida bimba a svolazzargli intorno.

Chi parte bene è a metà dell’opera, soprattutto a Sanremo, dove lo slancio è tutto, il primo risultato condiziona e determina quelli successivi. La Clerici perpetua così la sua formula domestica, apparecchia la tavola nello stesso conveniente modo, serve una ricetta della nonna che piace a dieci milioni di italiani e rischia di essere tramandata alle prossime generazioni di conduttrici. La locandiera tende a infilare le ciabatte anche a una come Jennifer Lopez che nell’intervista si trasforma in una ragazza semplice e dedita alle piccole cose («Sono rimasta quella cresciuta nel Bronx. I miei figli avranno una casa più grande ma li educherò come mia madre ha educato me»), comune («Sono come chiunque altra nella vita di tutti i giorni: lavoro sodo, faccio la mamma»), coi suoi umani cedimenti («Ci sono momenti in cui non mi piaccio») e nemmeno troppo interessata all’estetica («Sono i miei figli che mi mantengono in forma»). Poi la cantante-attrice illumina le coscienze rivelando che l’anima conta più del corpo e nega di essersi assicurata per milioni di dollari gambe e sedere. Questa normale ragazza del Bronx è stata assoldata a Sanremo per non si sa quale cifra (dai 300mila agli 800mila euro), per dare qualche risposta falsa e un medley di vecchi successi (Love don’t cost a thing, Let’s get loud) e nella sua sobrietà si è prodigata in non pochi capricci: ha voluto una suite a Montecarlo invasa da rose e orchidee bianche, una passerella personale all’Ariston, il camerino più grande del teatro, 25 assistenti e dieci bauli di vestiti.

Domani la serata finale con ospite Mary J Blige (ma senza Tiziano Ferro, assente ufficialmente a causa di una laringite). Restano favoriti Marco Mengoni e Irene Grandi, anche se la roulette russa del televoto rende le previsioni aleatorie.


ilmessaggero
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