Paolo Crepet, allievo e collaboratore di Franco Basaglia, dopo anni dedicati allo studio e alla ricerca nel campo psichiatrico e prestigiosi incarichi interna-zionali, si occupa ultimamente di questioni e problema-tiche giovanili. Non solo partecipando a congressi e seminari scientifici per addetti ai lavori, ma attraverso la radio, la tv, in incontri meno formali con giovani, insegnanti e genitori, dedica più attenzione alla divulgazione di tematiche impor-tanti come il suicidio o la criminalità giovanile, difficilmente affrontate in luoghi non isti-tuzionali.
I suoi libri hanno riscontrato un ottimo successo di pubblico perché “racconta-no storie con una motivazione didattica”, non dal punto di vista medico e specialistico, ma per raggiungere un ampio spettro di persone. Crepet ritiene “la scrittura una grande possibilità di comunicare, che fa sentire più liberi e privilegiati: per poter parlare senza filtri, senza ipocrisie perché la gente capisce, gli esperti meno”. I giovani, la scuola, il rapporto con gli insegnanti ed i genitori sono le tematiche affrontate nel suo ultimo libro, Non siamo capaci di ascoltarli, che abbiamo voluto approfondire. La vita sociale, la famiglia e il mondo del lavoro hanno subìto profondi cambiamenti negli ultimi decenni e anche la cultura dei giovani, come in ogni genera-zione, ha cercato di adeguarsi ed è inevitabilmente cambiata, afferma lo psichiatra.
Cosa è cambiato nel mondo giovanile oggi?
I giovani di oggi sono più cognitivi e meno emotivi, come se la società odierna li avesse privati delle loro emozioni e soprattutto della capacità di esprimerle. È cambiata soprattutto la capacità di ascolto da parte dei genitori e degli insegnanti: la scuola non ha saputo seguire l’evoluzione della società e non si è adeguata alle nuove esigenze. È rimasta ancorata alla sua struttura e non è cambiata granché.
Nella scuola sono cambiati però gli insegnanti e ciò in termini di una minore capacità all’ascolto e soprattutto di disponibilità a farlo.
Si sente spesso da parte di genitori e insegnanti che siano i giovani ad essere diversi e che sia difficile capirli…
No, io ritengo che il problema dipenda proprio dalla minore capacità di ascolto e disponibilità da parte degli adulti che è causa di un forte disagio nei giovani. Si assiste oggi ad una sorta di arretramento dell’adulto nei confronti dei ragazzi.
Esiste una relazione tra l’abbandono scolastico e il disagio giovanile?
C’è una relazione fondamentale tra l’abbandono degli studi e l’agio, non sono gli studenti meno abbienti e con problemi a lasciare la scuola: quanto più si è ricchi tanto più si abbandonano gli studi.
I giovani vedono oggi l’università per quello che è: come un liceo, nel senso che è diventata un’ulteriore tappa della formazione, non una meta conclusiva, ma un passo intermedio che rimanda ad altro, ad altre tappe ancora più lontane…
L’università al giorno d’oggi ha sempre meno capacità predittive dal punto di vista lavorativo; il mercato è orientato al lavoro interinale….forse un’università interinale potrebbe preparare in maniera adeguata uno studente.
Solo che questo è esattamente il contrario di quello che si sta facendo in Italia. Il bivio davanti al quale ci troviamo è questo: o far andare a lavorare i ragazzi a 23 - 24 anni oppure no; siamo di fronte ad un guado: vorremmo che andassero presto a lavorare ma poi strutturiamo la scuola in modo che prima dei trent’anni non possano concludere gli studi…non si può stare in mezzo, purtroppo.
Quali consigli darebbe agli studenti che devono scegliere un percorso di studio dopo la Scuola Superiore?
Sceglierei l’università per avere una cultura di base. Questo deve essere l’obiettivo dello studente dopo la maturità, considerare l’università come se fosse un liceo per ottenere gli strumenti di base da sfruttare in seguito nel lavoro e nella vita. Vorrei ricordare ai giovani che la cultura è afinalistica, che l’università non dovrebbe essere finalizzata; bisogna saper leggere Proust a diciott’anni così si diventa grandi e non certo dedicandosi solamente all’avviamento professionale, anzi questo è il modo migliore per diventare piccoli.
Un’ultima domanda, è diverso l’approccio allo studio tra ragazze e ragazzi?
Le ragazze sono molto più preparate e più brave, il futuro è loro!
[Modificato da BeatAurora 07/04/2005 3.00]